Chirurgia Artroscopica e Protesica Mini Invasiva a cura del Dr. Gaetano Maci
+39 3408486387 gaetano.maci@gmail.com
MEDICINA RIGENERATIVA

MEDICINA RIGENERATIVA

Dott. Gaetano Maci

Con il termine “medicina rigenerativa” si intendono metodiche innovative e non invasive per trattare patologie degenerative dei tessuti connettivi; nel nostro caso: cartilagini, tendini, muscoli ed ossa.

La grande innovazione è quella di utilizzare le cellule del paziente stesso per curare le patologie ortopediche di cui è affetto.

Questo implica ovviamente nessun possibile rigetto, allergia o reazione indesiderata (come potrebbe avvenire con i farmaci) e nessun rischio chirurgico significativo (come potrebbe accadere con interventi di chirurgia maggiore).

 

LE METODICHE PIU’ INNOVATIVE UTILIZZATE OGGI AL MONDO SONO:

 

PRP

(Plasma Ricco di Piastrine)

E’ ottenuto dalla centrifugazione del sangue venoso del paziente.

E quindi una procedura ambulatoriale ma sebbene la metodica sia molto semplice, deve essere eseguita in una struttura convenzionata con un centro trasfusionale.

Lo utilizziamo soprattuto nelle tendinopatie dello sportivo ma ha indicazione anche per altri tessuti come cartilagine ed osso.

Come funziona?

Globuli rossi, globuli bianchi, plasma e piastrine sono i principali componenti del sangue.

Le piastrine sono piccole cellule del sangue discoidi con granuli contenenti coaguli e fattori di crescita che vengono rilasciati durante il processo di guarigione ed hanno una durata media di 7-10 giorni.

All’attivazione, le piastrine accelerano la cascata infiammatoria e guariscono con il rilascio dei granuli contenenti fattori di crescita. Rilasciano  numerose sostanze che promuovono la riparazione tissutale e influenzano il comportamento di altre cellule modulando l’infiammazione e la neoformazione di vasi sanguigni. Giocano un ruolo fondamentale nel mediare la guarigione del tessuto danneggiato grazie alla capacità di liberare fattori di crescita, tra i quali il PDGF, il TGF β, il VEGF, l’IGF-1, l’FGF, e l’EGF. I granuli contenuti nelle piastrine sono anche una fonte di “citochine”, “chemochine” e molte altre  proteine variamente coinvolte nello stimolare proliferazione e maturazione cellulare, nel modulare l’infiammazione e attivare altre cellule regolando l’omeostasi tissutale ed i processi rigenerativi.

 

MSCs

(cellule staminali mesenchimali) da tessuto adiposo e da midollo osseo (bone marrow)

Cellule Staminali Mesenchimali sono cellule multipotenti e di particolare interesse in Ortopedia per il loro potenziale di differenziarsi in cellule che producono osso, cartilagine, tendini e legamenti.

Le MSCs posso essere isolate dal midollo osseo (bone marrow), pelle, sinovia, tessuto adiposo e molti altri tessuti di origine mesenchimale.

 

La terapia con MSCs in Ortopedia è attualmente indicata (vedi allegato in PDF: A Comprehensive Review of Stem-Cell Therapy) nelle seguenti patologie:

  • Condropatia ed Artrosi (malattia degenerativa delle articolazioni)
  • Tendinite cronica (infiammazione del tessuto elastico che collega il muscolo all’osso)
  • Ricostruzione legamentosa (diversi studi su LCA)
  • Riparazione artroscopica della cuffia dei rotatori
  • Lesioni meniscali
  • Fratture ossee e pseudoartrosi
  • Osteonecrosi
  • Dischi vertebrali degenerativi

Le MSCs provenienti da midollo osseo (bone marrow) sono ottenute da una piccola cannula, grande poco più di un ago, inserita direttamente nella cresta iliaca (zona più ricca di cellule).

Le ADSCs (Adipose Derived Stem Cells) provenienti da tessuto adiposo sono ottenute da una piccola liposuzione che si effettua in sala operatoria.

Dal grasso ottenuto attraverso la liposuzione vengono isolate o per filtraggio oppure attraverso la centrifugazione, le cellule mesenchimali “multipotenti”.

 

In entrambi i casi, dopo la centrifugazione ed un solo step (senza più la necessità di una seconda procedura), si ottengono le cellule pronte ad essere infiltrate nell’area patologica.

 

La metodica attualmente più utilizzata è il prelievo da grasso addominale.

Come funziona?

Le cellule isolate dal grasso sono cellule staminali mesenchimali ovvero cellule multipotenti in grado di favorire la trasformazione nelle cellule del tessuto ospite (cartilagine, tendine, muscolo, osso).

Tali cellule favoriscono doppiamente la rigenerazione, sia in maniera diretta che indiretta cioè attraverso l’azione paracrina (la loro peculiare capacità di “risvegliare” le cellule del tessuto ospite) stimolando la reazione anche nelle cellule locali.

Sebbene gli studi clinici siano ancora in corso, la frazione stromale del tessuto adiposo sembra avere un vantaggio rispetto alle altre metodiche: in laboratorio appare meno soggetta all’invecchiamento cellulare e potrebbe quindi essere maggiormente efficace anche in soggetti meno giovani.

In attesa di dati più solidi, resta la certezza che qualsiasi trattamento rigenerativo sia comunque più efficace nei pazienti giovani.

 

MONOCITI

Sono ottenuti dalla filtrazione del sangue venoso del paziente.

E quindi una procedura ambulatoriale ma sebbene la metodica sia molto semplice, deve essere eseguita in una struttura convenzionata con un centro trasfusionale.

Il sangue viene quindi filtrato con il fine di isolare i monociti.

Il grosso vantaggio di questa tecnica molto innovativa è nella scarsissima invasività che non compromette però la potenza della rigenerazione.

Pur essendo semplice come il PRP (è necessario un semplice prelievo venoso), ha una capacità rigenerativa indubbiamente maggiore che rende efficace solitamente, benché non sia una regola fissa, una sola infiltrazione, al contrario del PRP dove le infiltrazioni sono generalmente 3.

 

TAKE HOME MESSAGE

 

·      La Medicina Rigenerativa è una metodica rivoluzionaria perché utilizza le cellule del paziente (senza aggiunta di farmaci) per curare patologie croniche

 

·      La terapia riduce il dolore e fornisce un sollievo duraturo da tendiniti croniche e artrosi

 

  • Non vi è alcuna possibilità di rigetto o allergie come ai farmaci

 

  • Nella maggior parte dei casi non necessita di interventi più invasivi quindi il recupero è immediato

 

  • È particolarmente utile nella medicina sportiva perché consente di tornare allo sport molto prima che con un intervento chirurgico

 

  • Le tecniche  descritte sono efficaci e molto diffuse in tutto il mondo ma la ricerca è in continuo sviluppo e molte novità ci attenderanno nei prossimi anni!

 

TENDINOPATIE
TENDINOPATIE

Dott. Gaetano Maci

 

 

 

I tendini sono strutture anatomiche interposte tra muscoli ed osso, trasmettono quindi le forze di tensione sviluppate dai muscoli e permettono il movimento e la stabilità articolare.

Sono composti da fibre collagene (che conferiscono forza tensile), cellule: tenociti e tenoblasti (che sintetizzano protocollagene e matrice extracellulare), matrice extracellulare (che fornisce supporto strutturale alle fibre collagene)

 

TERMINOLOGIA

 

Per “tendinopatia” si intende una condizione clinica caratterizzata da dolore, gonfiore e limitazione funzionale del tendine e delle strutture contigue. Il termine ampiamente usato in passato “tendinite” è stato superato perché sottintendeva una natura infiammatoria e non degenerativa del processo patologico.

 

TENDINPATIE + FREQUENTI
  • Tendine di Achille : tendinopatia achillea, rottura tendinea, apofisite calcaneare (malattia di Sever).
  • Tendine rotuleo: tendinopatia patellare, apicite patellare (jumper’s knee), apofisite della tuberosità tibiale anteriore (malattia di Osgood-Schlatter).
  • Banda ileo-tibiale: Sindrome da frizione della banda ileo-tibiale.
  • Bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso: Hamstring syndrome (sindrome degli ischio-crurali).
  • Tendini della cuffia dei rotatori: sindrome da conflitto, tendinopatia da sovraccarico, rottura tendinea.
  • Estensore comune del polso (inserzione prossimale): Epicondilite (gomito del tennista).
  • Flessore comune del polso (inserzione prossimale): Epitrocleite (gomito del lanciatore, gomito del golfista).
EFFETTI ESERCIZIO FISICO MODERATO SUI TENDINI

 

 

Le conseguenze dell’esercizio fisico moderato sui tendini sono:

  • Ingrossamento delle fibre
  • Rafforzamento delle fibre
  • Miglioramento delle proprietà tenso-elastiche
  • Maggiore resistenza alle sollecitazioni meccaniche
  • Alterazioni strutturali in caso di improvviso disallineamento

 

EFFETTI DELLO STRESS DA SOVRACCARICO SUI TENDINI

 

Modificazioni delle componeneti tendinee in risposta ad uno stress da sovraccarico:

  • Degenerazione delle fibre collagene con disorientamento ed assottigliamento
  • Aumento della degradazione del collagene rispetto alla sintesi
  • Aumento dei glicosamminoglicani interfibrillari
  • Riduzione del contenuto di collagene di tipo I
  • Aumento del contenuto di collagene di tipo II
  • Aumento della cellularità
  • Aumento della produzione di citochine
  • Aumento della produzione di agenti pro-infiammatori con distruzione e rimaneggiamento della matrice extracallulare.
  • Neovascolarizzazione.

 

 

In condizioni di sovraccarico, si verificano sia fenomeni di tipo degenerativo sia fenomeni di tipo rigenerativo. La tendinopatia deriva dallo sbilanciamento tra questi due gruppi di fattori, con conseguente degenerazione, indebolimento e fissurazione del tendine, accompagnati da dolore locale.

 

VALUTAZIONE MEDICA

 

Durante la prima visita il medico parlerà con il paziente cercando di ricostruire l’accaduto e la storia clinica.

Durante l’esame obiettivo (esame fisico completo della regione anatomica), verranno controllate tutte le strutture articolari con test specifici .

Altri test che possono aiutare il medico a confermare il sospetto clinico sono le indagini strumentali:

  • Ecografia: permette la valutazione strutturale tendinea e da la possibilità di eseguire anche un test dinamico.
  • Radiografia (RX) : mostrano l’anatomia scheletrica ed un eventuale coinvolgimento osseo o eventuali calcificazioni.
  • Risonanza Magnetica (MRI): esame fondamentale per lo studio dei tessuti molli con visualizzazione chiara di eventuale rottura.

 

TRATTAMENTO

 

Il trattamento di una tendinopatia varia a seconda del grado di lesione, delle esigenze del paziente, dell’età e delle condizioni cliniche generali del paziente.

  • Trattamento non chirurgico: i trattamenti non chirurgici comprendono trattamenti di fisioterapia, terapia infiltrativa, integratori e medicine:
    • Esercizio eccentrico: promuovono la formazione di fibre collagene cross-link e facilitano il rimodellamento tendineo. Stimola la neo-vascolarizzazione.
    • Terapia con onde d’urto
    • Tecar Terapia
    • Infiltrazioni con corticosteroidi: effetto anti-infiammatorio, rilassamento dello spasmo muscolare riflesso, riduzione del dolore, miglioramento del dolore. Vengono riportati anche casi di rottura tendinea.
    • Infiltrazioni con acido ialuronico: vengono iniettati nelle sedi peri tendinee con buon recupero funzionale, riduzione della sintomatologia dolorosa e riduzione della disabilità.
    • Infiltrazioni con PRP: il plasma arricchito di piastrine (PRP) è un componente bioattivo del sangue e sembra stimolare processi riparativi tissutali attraverso l’attivazione della chemiotassi, di risposte cellulari proliferative ed anaboliche

  • Trattamento chirurgico: il trattamento chirurgico è previsto per i pazienti resistenti alla terapia conservativa o nei casi di rotture parziali o totali tendinee.
    •  Tenotomie longitudinali multiple: innescano la neoangiogenesi nel tendine di Achille con conseguente aumento dell’apporto ematico.
    • Riparazione artroscopica o “a cielo aperto” del tendine.

 

RIABILITAZIONE

 

La Riabilitazione è fondamentale dopo la riparazione chirurgica di un tendine. Prevede 3 steps fondamentali:

  • Guarigione biologica (con ausilio di tutori per mettere a riposo il tendine) e recupero del movimento passivo.
  • Rinforzo muscolare + Rieducazione propriocettiva
  • Ritorno all’attività sportiva (personalizzata per ogni paziente)

 

Il “nanoscopio”: ultima frontiera della mini-invasività

IL “NANOSCOPIO”: ULTIMA FRONTIERA DELLA MINI-INVASIVITA’

Dott. Gaetano Maci

Il nanoscopio è un nuovo strumento a disposizione del chirurgo ortopedico.

Si tratta di una versione “ridotta” dell’artroscopio tradizionale, con un diametro di circa 2,2 mm (poco più di un ago).

Permette di vedere all’interno dell’articolazione nel modo meno invasivo possibile allo scopo di effetture diagnosi accurate ed eventualmente piccole procedure chirurgiche (es. piccole meniscectomie nel ginocchio o tenotomia del clb nella spalla).

Non sostituisce l’artroscopio, ma il suo utilizzo può essere esteso agli ambulatori chirurgici, effettuando la procedura in anestesia locale.

La nanoscopia è un valido strumento che spesso associamo alla medicina rigenerativa, premettendo la visualizzazione diretta della cartilagine e dei tendini prima del trattamento.

L’intervento “salva spalla”: Transfer del Gran Dorsale

TRANSFER ARTROSCOPICO DEL GRAN DORSALE PER LESIONI GRAVI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

Dr. Gaetano Maci – UO Ortopedia III Villa Regina Bologna

        

Fino a pochi anni fa in un quadro di rottura massiva irreparabile della “cuffia dei rotatori” era inevitabile dover procedere con un intervento di protesi a geometria inversa per recuperare l’articolarità sfruttando l’azione del muscolo deltoide.

Il transfer Gran Dorsale (Latissimus dorsi) è un intervento chirurgico indicato in soggetti attivi con una lesione irreparabile dei tendini posterosuperiori (sovraspinato e infraspinato) della cuffia o con un quadro di atrofia o degenerazione adiposa muscolare che renderebbe inutile la riparazione.

Tale quadro patologico oltre a causare dolori, penalizza la mobilità del paziente, trovandosi questo impossibilitato a effettuare i movimenti di rotazione esterna ed abduzione.  

Il tendine del Gran Dorsale, prelevato dalla sua inserzione omerale e reinserito artroscopicamente sul trochite omerale, va quindi ad abbassare e restituire rotazione esterna ed abduzione.

Per l’esecuzione di questo intervento è necessario che sia inserito o riparabile artroscopicamente il tendine sottoscapolare e che la cartilagine glene-omerale sia conservata.

 

ANATOMIA

Che cos’è? Il gran dorsale è il muscolo più esteso del corpo umano. Parte dall’ascella posteriore alla linea mediana della schiena per concludersi toccando la porzione posteriore della cresta iliaca sulla pelvi. Le sue ampie dimensioni permettono di suddividere il muscolo in quattro diverse parti: vertebrale, iliaca, costale e scapolare.

Funzioni Il gran dorsale, in virtù della sua localizzazione anatomica tra i muscoli della schiena, possiede diverse funzioni sia a livello dell’omero, sia a livello del tronco che a livello della scapola. Con una forma triangolare permette i movimenti di adduzione e rotazione interna del braccio, facendo muovere la spalla inferiormente e posteriormente. Quando viene trasferito diventa un elevatore della spalla ed extrarotatore.

 

A CHI E’ INDICATO?

I pazienti che possono sottoporsi all’intervento “Transfer del Gran Dorsale” devono avere un’età compresa tra i 50 ed i 70 anni o essere attivi sul piano fisico, lavorativo o sportivo, e con il tendine del sottoscapolare integro o riparabile. Inoltre non devono avere segni di artrosi della spalla.

 

INTERVENTO CHIRURGICO

L’intervento si svolge in anestesia generale associata ad un blocco interscalenico per il controllo del dolore. Il paziente viene posizionato in decubito laterale.  La prima parte dell’intervento viene eseguita in artroscopia, così da poter effettuare il trattamento dell’articolazione acromion-claveare, il release capsulare e la preparazione dell’area, nella quale verrà inserito il transfer e l’eventuale riparazione del tendine sottoscapolare.

Nella seconda parte dell’intervento si effettua il prelievo del tendine del gran dorsale, attraverso  l’incisione chirurgica nella regione ascellare.  Il tendine viene staccato dalla sua inserzione sull’omero e portato all’interno della spalla, qui  viene fissato artroscopicamente con delle ancore.

  

 

RIABILITAZIONE

Lo sviluppo di un  preciso programma di riabilitazione è fondamentale per la riuscita ottimale dell’intervento chirurgico. A seguire un esempio di protocollo di riabilitazione, che se seguito permette il recupero della mobilità al 100% con una buona forza nei movimenti.

Nel primo periodo (0-21 giorni) l’arto è immobilizzato con un tutore in abduzione. Il paziente può effettuare solo movimenti passivi della spalla operata.

Successivamente si inizia con gli esercizi di recupero.

> 22º giorno postoperatorio: vengono eseguiti esercizi per il recupero del movimento attivo della spalla ed inizia un rinforzo isometrico.

>  60º giorno postoperatorio. si iniziano gli esercizi di rinforzo eccentrico muscolare ed esercizi propriocettivi.

> 90º giorno postoperatorio: rafforzamento dei muscoli del cingolo scapolare puntando sul recupero della resistenza prima della potenza e del controllo neuromuscolare della spalla.

 

Novità in chirurgia protesica di ginocchio

NOVITA’ IN CHIRURGIA PROTESICA DI GINOCCHIO

In questo post verrà descritto l’iter diagnostico-terapeutico al quale il paziente viene sottoposto e verranno spiegati i materiali delle protesi che maggiormente utilizzo e la ragione. 

Dott. Gaetano Maci

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento radicale della chirurgia sostitutiva protesica del ginocchio in pazienti sempre più giovani.

Tale fenomeno si spiega da un lato per l’aumento dell’attività sportiva nei giovanissimi con usura più rapida delle cartilagini articolari, dall’altro per la realizzazione da parte di aziende italiane e straniere di impianti sempre meno invasivi, di rivestimento, anallergici e che permettono di integrarsi sempre più con l’anatomia del paziente, garantendo una buona funzionalità articolare ed una durata maggiore nel tempo.

Una buona protesi dovrebbe quindi avere caratteristiche che ne garantiscano la longevità e la perfetta integrazione anatomica.

 

 

 

Si ricorre ad un intervento di sostituzione protesica parziale o totale quando uno, due o tutti e tre i comparti della articolazione sono danneggiati per una qualsiasi patologia (degenerativa, infiammatoria, post-traumatica) ed un trattamento conservativo (medico, fisioterapico, ortesico) non è più in grado di controllare il dolore e la disfunzione è necessario ricorrere ad un trattamento chirurgico.

 

Con la protesizzazione del ginocchio, le parti usurate o danneggiate dell’articolazione saranno sostituite o rivestite con elementi artificiali. Quali materiali utilizzo e perchè?

  • FEMORE: per rivestire il femore utilizzo una componente  metallica (cromo-cobalto rivestita da materiale anallergico (es BIOLOY)  o OXINIUM) o di ceramica

 

È ben noto che qualsiasi materiale metallico, tranne quelli nobili, all’interno di un organismo biologico è sottoposto al processo di corrosione e quindi al rilascio di ioni metallici. Molti metalli pesanti possono scatenare nell’organismo una reazione di ipersensibilizzazione. Metalli noti come sensibilizzatori sono berillio, nichel, cobalto, cromo e, occasionalmente tantalio, titanio e vanadio. Il nichel è il più comune allergene tra i metalli, seguito dal cobalto e dal cromo. Gli ioni metallici, pur non essendo loro stessi degli allergeni, possono attivare il sistema immunitario formando complessi con le proteine già presenti nell’organismo. Questi complessi proteici sono potenziali allergeni responsabili di innescare risposte di ipersensibilità ritardata, cellulomediata. Il fenomeno delle allergie fra i pazienti portatori di protesi metalliche impiantabili è in continuo aumento come è in aumento anche la sensibilità da parte della comunità ortopedica verso tale problematica. L’esigenza di tipologie di protesi “anallergiche” di conseguenza è in continuo aumento.

Per eliminare qualsiasi rischio di reazione allergica, utilizzo protesi con rivestimento Bioloy o in Oxinium.

Il rivestimento BIOLOY® è un rivestimento ceramico che ha lo scopo di formare uno strato inerte e isolante che faccia da interfaccia fra il paziente (ovvero i tessuti ed i liquidi) ed il metallo costituente la protesi, impedendo di conseguenza il passaggio di ioni metallici dalla protesi verso il paziente. La funzione principale è infatti quella di creare una barriera fisica tra il substrato metallico e l’ambiente organico circostante impedendo il rilascio degli ioni metallici dal substrato: ciò permette di ridurre notevolmente il rischio di scatenare o sviluppare reazioni allergiche causate dagli elementi metallici di lega del dispositivo (i.e. Ni, Co, Cr).

Il rivestimento BIOLOY® permette quindi di:

  1. poter impiantare dispositivi protesici metallici in pazienti con nota allergia ad uno o più metalli di cui sono costituite le leghe dei dispositivi;
  2. ridurre il rischio di sviluppare un’allergia in un paziente a cui sono state impiantate una o più componenti metalliche.

Il rivestimento BIOLOY®, inoltre, grazie alla sua elevata durezza e resistenza all’abrasione, migliora anche le prestazioni tribologiche delle superfici articolari delle leghe metalliche di cui sono costituite le protesi diminuendo così l’usura del polietilene.

 

L’ OXINIUM ™ o Zirconio Ossidato è una lega metallica brevettata disponibile per i sistemi di anca e di ginocchio e quasi 1 milione di impianti sono stati venduti a livello globale. La sua combinazione di biocompatibilità, maggiore durezza e resistenza all’abrasione la rende una scelta eccellente per la protesi d’anca e di ginocchio.
OXINIUM è una lega metallica la cui superficie si trasforma in ceramica tramite un processo brevettato. Tale materiale ha dimostrato essere un metallo superiore nell’uso di impianti d’anca e ginocchio grazie alla maggiore biocompatibilità e resistenza ai graffi e all’abrasione. Grazie a queste proprietà gli impianti hanno dimostrato una significativa riduzione dell’usura rispetto a quelli prodotti nella lega di cromo-cobalto, metallo tipicamente usato negli impianti d’anca e ginocchio, oltre che a ridurre i problemi di sensibilità ai metalli spesso identificati con gli impianti in cromo-cobalto.
OXINIUM contiene meno del 0.0035% di nichel, il più comune degli allergizzanti e causa di reazioni allergiche nei pazienti soggetti.
Grazie alla sua lega unica OXINIUM non è soggetta alle comuni problematiche di corrosione tra testa femorale e cono dello stelo osservate con altri materiali.
La superficie dell’OXINIUM è più di due volte più dura rispetto al cromo-cobalto. Studi simulati in laboratorio hanno evidenziato che gli impianti in OXINIUM potrebbero durare di più in quanto l’usura dell’impianto è ridotta a più della metà rispetto a impianti di anca e ginocchio in cromo-cobalto.
L’OXINIUM non ha lo stesso rischio di rottura degli impianti in ceramica
L’OXINIUM pesa il 20% in meno rispetto al cromo-cobalto

 

  • TIBIA: per rivestire la tibia utilizzo una componente metallica (titanio), con interposto al femore un inserto di polietilene fisso o mobile, crosslinkato o vitaminizzato (vitamina E)

La degradazione del polietilene e dei polimeri in generale è quel processo tale per cui si ha un’alterazione della struttura chimica del materiale con una diminuzione del peso molecolare. La degradazione diminuisce le caratteristiche meccaniche del polietilene e, quindi, causa un’usura precoce. La degradazione di un polimero avviene con la rottura di alcuni legami chimici e la creazione di nuovi radicali liberi quando ad esempio il materiale viene esposto ad una quantità di energia superiore a quella dei legami chimici stessi di cui sono costituite le catene molecolari del polimero. Tale processo in presenza di ossigeno viene chiamato degenerazione ossidativa o più semplicemente ossidazione. L’ossidazione determina la degradazione della struttura molecolare del polietilene e quindi nel tempo ne causa un progressivo decadimento delle proprietà meccaniche e tribologiche. L’aggiunta di minime concentrazioni di vitamina E nel polietilene elimina il problema dell’ossidazione e di conseguenza aumenta la sua longevità.

  • ROTULA: Per quanto riguarda la rotula, in un impianto protesico totale, la rotula sarà sostituita o meno a secondo del grado di usura, effettuando al bisogno artrocheiloplastica con condroplastica sec. Pridie e lateral release; nell’artrosi femoro-rotulea il comparto non coperto da cartilagine sarà rivestito con una componente metallica femorale (trocleare in cromo-cobalto rivestito o oxinium) ed una componente polietilenica a livello della superficie inferiore rotulea.

Se non sono presenti altre patologie la protesi permetterà un ritmo di vita normale ma dovranno essere limitate le attività che possono sovraccaricare il ginocchio operato.

Un ginocchio rivestito o sostituito da una protesi tuttavia non può essere come un’articolazione normale, anche se ben funzionante, soprattutto se è stato effettuato un impianto totale. Soprattutto nei pazienti giovani, l’’intervento di artroprotesi può pertanto richiedere un secondo intervento (correlato a fenomeni di usura della protesi e/o altre patologie dell’osso circostante) in una percentuale di circa il 5 – 10% nei primi quindici anni dall’impianto.

 

Indicazioni

Il trattamento chirurgico di rivestimento o sostitutivo è tradizionalmente riservato alle persone oltre i 60 anni anche se in casi selezionati, in genere dopo traumatismo maggiore o microtraumatismo iterativo in sportivi high demand (baby boomer generation), è sempre più frequente eseguire questo tipo d’intervento a persone più giovani: soprattutto nell’artrosi monocompartimentale, per una scelta di qualità di vita del paziente, l’età di maggiore incidenza per la protesizzazione di rivestimento si è spostata di 10 anni, interessando precipuamente la fascia tra i 45 e 55 anni.

  

Le principali indicazioni all’intervento sono determinate da:

1.     Dolore (se presente tutti i giorni)

2.     Deformità

3.     Disabilità (se limita il lavoro e/o le comuni attività quotidiane e ricreative)

Condizioni che aumentano il rischio operatorio sono:

  • Pregressi accessi chirurgici
  • Pregresse infezioni o TVP stabilizzate
  • Severe cardiopatie e/o malattie sistemiche
  • Patologie cerebrovascolari
  • Diabete di 1° tipo scompensato
  • Arteriopatia periferica
  • Insufficienza venosa
  • Grave deformità del ginocchio e/o della catena cinetica di arto inferiore
  • Insufficiente sostegno osseo
  • Grave obesità

Condizioni che al momento non permettono l’intervento:

  • Recenti TVP/TEV
  • Gravi difetti o plastiche cutanee
  • Infezioni recenti o in atto
  • Condizioni non articolari che alterano gravemente l’attività motoria

Prognosi

La completa guarigione necessita di alcuni mesi ed è importante effettuare regolarmente gli esercizi imparati durante la riabilitazione e continuare l’attività di rinforzo muscolare. Il ritorno alle comuni attività avviene di norma dopo due-sei mesi dall’intervento, a seconda che si sia effettuato l’impianto monocompartimentale (45gg) o totale (ca 2.5m) con tecnica MIS (mini-invasiva) o less invasive/tradizionale (5cm).

 

Iter diagnostico

L’iter inizia con una visita ambulatoriale specialistica ortopedica, durante la quale l’ortopedico, in presenza di sintomatologia dolorosa del paziente e se il paziente non sia già in possesso di radiogrammi standard del ginocchio recenti (che di norma vengono richiesti all’atto della prenotazione della visita ambulatoriale), procederà con esami atti a stabilire la presenza di artrosi nonché la qualità minerale ossea:

  • RX standard antero-posteriore (AP) e laterale del ginocchio da operare (dx/sn)
  • TELE-RX ginocchia in ortostatismo (proiezione AP)
  • RX assiale di rotula (proiezione tangenziale a 45°)

Qualora il quadro clinico e radiologico siano già diagnostici per artrosi del ginocchio, lo specialista ortopedico provvederà ad inserire il paziente in lista d’attesa per l’intervento e a sottoporre al paziente il modulo di consenso specifico all’intervento di artroprotesi di ginocchio.

 

In casi dubbi possono essere richiesti ulteriori esami:

  • RMN (in caso di sospetta osteonecrosi asettica o condropatia kissed o plurifocale)
  • TAC spirale con ricostruzione tridimensionale (in caso di esiti di trauma o OCA e in presenza di dimorfismi articolari di rilievo)

Iter pre-operatorio pre-ricovero

Comprende:

  • Profilo ematico, ECG
  • Visita anestesiologica
  • Eventuali approfondimenti diagnostici (es. RX torace, visita cardiologia, ulteriori esami ematochimici)
  • Eventualmente visita specialistica in caso di malattie metaboliche in trattamento o non compensate
  • Ecodoppler A/V AA.II. in caso di flebectasie sospette o terapie antiemboliche recenti e/o arteriopatie periferiche
  • Valutazione per predepositi ematici in casi di grave dimorfismo (in tal caso i tempi operatori e le perdite ematiche possono aumentare)

Scelta della protesi:

monocompartimentali mediale, laterale, femoro-rotulea

-protesi totali che possono a seconda del bone stock del paziente essere CEMENTATE  O  NON CEMENTATE.

La scelta del tipo di protesi  (mono, totale) nell’ “earlier intervention”  si basa in prima analisi sul quadro Rx (TeleRx in ortostatismo). 

Uteriori elementi nella indicazione della tipologia protesica sono costituiti da: età (<50 -50-75- >75°), richieste funzionali (high, medium, low demand), morfotipo (magro, normale, obeso)  del paziente.

 

Preparazione all’intervento

Comprende:

  • Impostazione della profilassi antibiotica
  • Impostazione della profilassi antitromboembolica

 

Iter terapeutico-assistenziale post-operatorio

Comprende:

  • Terapia del dolore.
  • Controllo dei parametri clinici locali (colore, motilità dell’arto, dolore) e generali (pressione, temperatura, presenza di nausea o vomito, colorito del viso/sclere).
  • Valutazione delle perdite ematiche post-operatorie con recupero postoperatorio del sangue perso e controllo dell’ematocrito con Hb postop. a 6, 12, 24, 48, 96 h (se necessario).

 

DECORSO POST OPERATORIO

  1. Inizio mobilizzazione articolare passiva (CPM con Kinetec), in prima giornata, progressivamente.
  2. Dalla prima giornata post operatoria viene effettuata ove le condizioni cliniche e la tipologia di intervento lo consenta Assistenza Riabilitativa al letto per la  correzione della postura e mobilizzazione dell’arto operato, recupero nei trasferimenti e dell’ortostasi. Vengono inoltre fornite al paziente  le indicazioni per ottenere la corretta postura al letto e le  indicazioni per il recupero nei trasferimenti
  3. Deambulazione con stampelle e carico parziale, dalla seconda giornata.
  4. Il quarto giorno, indossate le calze antitrombo, se non ci sono complicanze, si procede alla dimissione e trasferimento in reparto di riabilitazione.
  5. Dopo 5-10 giorni, abbandona definitivamente una delle due stampelle
  6. Dopo 15-20 giorni, abbandona definitivamente le stampelle e riprende la vita di relazione.

 

 

 

 

La “cuffia dei rotatori” nello sport

“CUFFIA DEI ROTATORI” E SINDROME DA USURA FUNZIONALE DELLA SPALLA NELLO SPORT

Dr. Gaetano Maci

La sindrome da usura funzionale nello sport è il risultato di disadattamenti strutturali e/o funzionali agli sforzi ripetuti di una o più attività.

La LESIONE da usura funzionale è un problema clinico frutto di più problemi che si sovrappongono in determinate situazioni sportive (es. lanciatori, nuotatori, sollevatori di pesi, ecc.):

  • Patologia/insufficienza dei muscoli che stabilizzano la scapola
  • Retrazione/lassità glenomerale (strutturale)
  • Distrazione da usura della cuffia dei rotatori, tendinite, tendinosi, lacerazione degenerativa, insufficienza
  • Distrazione da usura del capo lungo del bicipite, tendinite, tendinosi, lacerazione degenerativa, insufficienza
  • Malattia articolare degenerativa acromionclaveare
  • Conflitto primario (acromiale, acromionclaveare, coracoclaveare, coracoideo)
  • Conflitto secondario (anteriore, posteriore e laterale; secondario alla retrazione/lassità glenomerale e/o ad insufficienza della cuffia dei rotatori)
  • Malattia articolare degenerativa glenomerale/”artropatia della cuffia”.

 

La cuffia dei rotatori comprende 4 muscoli (sottoscapolare, sovraspinato, sottoscpinato e piccolo rotondo) ed i loro tendini. Agiscono come una coppia di forze con i muscoli più grandi che si inseriscono distalmente sull’omero (deltoide, gran pettorale e gran dorsale) e mantengono l’asse del movimento della spalla centrato a livello della glenomerale.

Sovraspinato e sottospinato sono particolarmente soggetti a distrazione da usura, tendinite e dolore muscolare con le attività ripetitive e prolungate svolte al di sopra della spalla.

Tali alterazioni degenerative del tendine possono diventare irreversibili e portare a lacerazioni.

Inoltre la cuffia è soggetta a lesioni da abrasione con problemi di conflitto primario (acromiale, acromioclaveare, coracoclaveare, coracoideo) o secondario (anteriore, posteriore e laterale secondario a lassità/retrazione glenomerale e insufficienza della cuffia). Nel tempo un conflitto porta ad una tendinosi e lacerazione degenerativa.

 

CLASSIFICAZIONE Secondo la classificazione della sindrome da conflitto sottoacromiale studiata da Neer e rivista da Gartsman, distinguiamo 3 fasi anatomo-cliniche progressive:

–       Stadio 1 Caratterizzato da edema ed emorragia. È reversibile e guarisce con terapia medica e fisica.

–       Stadio 2 Caratterizzato da Fibrosi ed inspessimento della borsa e Tendinite della cuffia

o   Senza rotture parziali della cuffia

o   Con rotture parziali della cuffia

In caso di fallimento della terapia conservativa, è indicata la bursectomia con resezione del legamento coraco-acromiale in Artroscopia.

–       Stadio 3 Caratterizzato da rottura a tutto spessore della cuffia dei rotatori con eventuale lesione del capo lungo del bicipite ed osteofiti sottoacromiali.

Il trattamento prevede la riparazione della lesione della cuffia con suture termino-terminali e la sua re inserzione all’osso con ancorette in titanio, l’acromionplastica ed eventualmente il trattamento del capo lungo del bicipite (tenotomia o tenotomia-tenodesi).

 

SINTOMI

 

Clinicamente il paziente lamenta:

  • dolore alla spalla (tipicamente notturno)
  • progressiva limitazione funzionale (tipicamente nei movimenti di extrarotazione per sovraspinoso e sottospinoso ed intrarotazione per il sottoscapolare).
VALUTAZIONE MEDICA

 

Durante la prima visita il medico parlerà con il paziente cercando di ricostruire l’accaduto e la storia clinica.

Durante l’esame obiettivo (esame fisico completo delle spalle), verranno controllate tutte le strutture della spalla con test specifici per i tendini sintomatici.

Altri test che possono aiutare il medico a confermare il sospetto clinico sono le indagini strumentali:

  • Radiografie (RX) : mostrano l’anatomia scheletrica ed eventuali calcificazioni.
  • Risonanza Magnetica (MRI) o meglio artro-RMN: esame fondamentale per lo studio dei tessuti molli con visualizzazione chiara della rottura.

(In alternativa l’esame TAC o artro-TAC).

 

TRATTAMENTO

 

Come già anticipato, il trattamento di una lesione della cuffia dei rotatori varia a seconda delle esigenze del paziente, dell’età e delle condizioni cliniche generali del paziente.

  • Trattamento non chirurgico: medico (infiltrazioni con antiinfiammatori/ acido ialuronico/fattori di crescita e cellule mesenchimali) e fisioterapico.

 

  • Trattamento chirurgico: RIPARAZIONE ARTROSCOPICA

 

  

 

 

RIABILITAZIONE

 

In caso di riparazione Artroscopica della cuffia, associata o meno ad Acromionplastica, il paziente dovrà indossare un tutore in abduzione per 3/4 settimane per favorire i tempi biologici di cicatrizzazione del tendine all’osso. Potrà rimuovere il tutore da subito per lavarsi ed eseguire esercizi (pendolari e protocollo Lionese) che verranno spiegati al momento della dimissione. Verranno associati esercizi a seconda dell’intervento subito ed alla qualità dei tessuti.

Dopo circa 2 settimane inizierà un percorso di riabilitazione specifica.

La non guarigione del tendine con eventuale rirottura parziale è di circa il 30% (può arrivare al 90%) ma il livello di soddisfazione del paziente è del 97% con netta riduzione o scomparsa del dolore.